Buon 2026

Care tutte e cari tutti, 

in questo momento di passaggio tra un inizio e una fine viene di solito spontaneo indulgere alla pratica dei bilanci: pratica necessaria oltre che utile, naturalmente, nella quale ci siamo già impegnati e ci impegneremo ancor di più in futuro. Permettetemi, però, in questo tempo sospeso tra ciò che nasce e ciò che muore, di lanciare sguardo e cuore oltre i confini della nostra comunità, sulla cui importanza nella mia modesta visione della scuola e nel mio lavoro quotidiano mi sono più volte soffermato. Credo che sia importante ribadire ora e proprio ora, in un momento di inizio che unisce tutto il mondo con le sue pratiche augurali, che noi siamo una parte, una piccola parte, del pianeta. Che le nostre vite con i nostri vissuti, i nostri affetti, i nostri lavori, le nostre aspirazioni, i nostri successi, i nostri fallimenti sono certamente fondamentali, perché è nella declinazione singolare che il nostro vivere prende forma concreta; ma che è nella proiezione oltre, altrove, in una cornice più grande, che quello che siamo acquista profondità, umanità in senso lato, forza ideale. Non starò qui a recitare la parte del medico diagnosta e a dire se il mondo stia bene o male, se sia sano o malato o a lanciare auspici di palingenesi e rinascita: non mi spetta e, a essere sincero, non credo che sia utile. Come DS, però, sento il dovere e soprattutto l’esigenza (personale e istituzionale) di ricordare, a me stesso prima che a tutta la comunità, che un filo ci unisce a tutti coloro (dal nostro vicino di casa all’abitante solitario dell’angolo più remoto della Terra) che tra poche ore strapperanno l’ultimo foglio dai loro calendari e metteranno la parola fine a questo 2025: un filo che nessuna Parca può recidere e che fa sì che ogni singola guerra nel mondo sia, non solo idealmente e non solo retoricamente, guerra di tutti; che ogni disuguaglianza, ogni ingiustizia, ogni violenza, ogni sopruso appartengano a tutti gli uomini e a tutte le donne, in ogni dove. Non voglio dire che ciascuno possa o debba caricarsi sulle spalle il dolore del mondo; voglio dire, però, che penso sia doveroso per ciascuno di noi abbracciare il 2026 che verrà come un gesto unico, parte di un solo abbraccio collettivo. L’Io necessità d’essere plurale se vuol respirare e, magari, farsi grande. Che il futuro sorrida a tutti noi, vicini e lontani, amati e non amati, conosciuti e sconosciuti. 

 

Fabio Baccelliere

Pubblicato il 30-12-2025